"In un lontano giorno degli
anni Ottanta, un giovanissimo Carlo Piras usciva da scuola assieme a Egisto
Falchetti, suo compagno di banco e amico. Cercava di distrarsi, voleva
distogliere lo sguardo dalla carnagione scura mediorientale del viso rubicondo
di Egisto, voleva evitarne l’alito contaminato dalla cipolla del trancio di
pizza ruminata durante la ricreazione, voleva chiudere le orecchie per non
ascoltarne le mentecatte esclamazioni ogni volta che gli scorreva davanti quel
modello di automobile di cui era estimatore.
I nonni, i padri dei suoi
genitori, i maschi esperti e segnati dalla vita, non avevano avvertito il loro
amato nipotino Carlo. Non gli avevano detto nulla, forse non avevano fatto in
tempo, forse erano morti troppo presto - no, troppo brillanti per farsi
cogliere di sorpresa. Possibile che non presentissero l’imminente e quasi
contemporanea fine? Perché prima di partire per l’altro mondo non avevano
erudito il loro nipote prediletto riguardo a un argomento così importante? E
senz’altro doveva essere importante, a giudicare da come ne parlava Egisto.
Possibile che un tredicenne ne sapesse più di nonno Calogero sessantenne e
nonno Fernando settantenne? No, non era possibile. Loro avevano taciuto. Acqua
in bocca Calo’, acqua in bocca Ferna’: parliamogli invece della morte e
facciamogli capire quello che ci sta per succedere e quello che succederà pure
a lui, così sarà consapevole e non
verserà una lacrima al nostro funerale, perché chi sa non piange e si rassegna.
Tanto verrà Egisto Falchetti
a confidargli che esiste il sesso e
tutto quel che ne consegue e le ragazzine, Calo’, te le ricordi le ragazzine?
Mi ricordo le passerine, Ferna’, eccome se mi ricordo l’odore, quell’odore. In Etiopia mi ricordo la passerina di un’indigena dodicenne, rosa
sparato su sfondo nero, mi ricordo eccome, ma non diciamoglielo, al nostro
Carlo, è ancora immaturo. Non lo filerà nessuno, le ragazzine sono delle
paracule infinite e si comportano da stronze con i coetanei, ti ricordi Calo’,
ti ricordi Ferna’? Anche noi eravamo bruttini, ma poi divenimmo dei dongiovanni
casanova latin lovers e slap slap fuck fuck fumetterebbero oggi i giovani… ogni
cosa a suo tempo, la fortuna si rivela poco a poco e Carlo è già un ragazzo
fortunato. Perché la fortuna operi anche nel settore sentimentale e personale è
bene attendere ancora e lasciare a Egisto e a chi verrà dopo di lui il compito
di fare di Carlo un uomo vincente. Ora è tardi Calo’, è proprio tardi Ferna’, è
ora di andare, buonanotte Calo’,
buonanotte Ferna’.
Proprio così. Il giorno in
cui Egisto Falchetti si fidanzò con Tiziana Carnevale, una ragazza di qualche
anno più grande, ed ebbe modo di conoscere e approfondire e decantare le cose assurde ma meravigliose che aveva fatto con lei nella sua cameretta tappezzata
di foto dei Duran Duran, fu il giorno in cui Carlo odiò i suoi nonni defunti,
che pure aveva tanto amato in gioventù perché erano stati suoi mentori, e fu il
giorno in cui odiò Egisto Falchetti.
Vicini di casa, quel giorno
rincasavano assieme dopo la scuola, Egisto a passo svelto e agile, Carlo più
lento, a un paio di metri di distanza, lo zaino pesante, la strada in terra
battuta allagata e infangata (ma Egisto sembrava camminarci come Gesù sulle
acque, senza sporcarsi le scarpe, senza subire rallentamenti). Carlo cominciò a
punzecchiare il compagno con un righello da un metro imposto dall’Educazione
Artistica, eh, esercitazioni di prospettiva,
da un punto fermo si dipartono le linee e si crea la prospettiva, e Carlo era un punto da cui si partiva il righello che
molestava Egisto, Egisto che aveva la Tiziana in testa e solo lei e si chiedeva
ma chi cazzo è quel finocchio che mena righelli sulla schiena, ma che cazzo vuoi, perché non ti togli dai
coglioni? disse quando i suoi suddetti coglioni cominciarono a girare
turbinosamente; cominciò a spingere e strattonare e Carlo doveva essere un po’
stordito, non si rendeva neanche conto di quello che stava succedendo.
Esiste un tempo oggettivo e
un tempo soggettivo, è risaputo, e questo frammento di ricordo si ricongiunge
alla mente diciottenne di Carlo in un istante che ne racchiude tanti e tanti
altri. E a ogni buonanotte succede sempre un buongiorno."
Una sveglia che suona.
È l’ora di svegliarsi. E
l’ora di tornare al presente. È l’ora di
andare."
Altro che incipit! Questo è il romanzo!!! Ci siamo tutti in questo romanzo, tutti quelli che a Catania c'erano, tutti quelli che Catania ce la raccontavano. Sarà ancora così o siamo già dei nostalgici?
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