Carlo Piras è un ragazzo
fortunato: è figlio unico, i suoi genitori sono dei tranquilli impiegati
statali e affronta l’Università di Filosofia da matricola fuori sede nel comfort di un
piccolo monovani di sua proprietà. Ha anche scritto un libro di cui pare poco
gli importi ma che un editore ha intenzione di pubblicare. Vive i suoi diciotto
anni nella metà degli anni ’90 e la città in cui ha deciso di studiare, Catania, vive la sua rinascita dopo anni
bui. Qui, il provinciale Carlo spera di trovare nuovi amici e magari il
primo vero grande amore. I primi giorni catanesi lo lasciano però perplesso, le
sue notti infinite sembrano più che altro stordirlo, i baroni accademici non lo vedono di buon occhio (si è diplomato all'Alberghiero!), gli amici sembrano smarriti nelle proprie
ossessioni e le ragazze hanno gli occhi perennemente
rivolti altrove.
L’insonnia prende il sopravvento, i tormenti, le
angosce, i dubbi si riversano come un ciclone nelle sue giornate. I suoi
tentativi di conquistare questa o quella ragazza di cui è di volta in volta
innamorato rivelano la sua inettitudine al vivere, la sua irresolutezza, la sua
incertezza. Poco a poco Carlo acquisisce la nozione del tempo
che passa, si risveglia da un coma profondo in cui sembra essere piombato fin
dalla nascita e decide di accelerare gli eventi, portarli a conclusioni certe
prima che sia troppo tardi, prima che qualcosa o qualcuno ne inquini gli esiti:
ne conseguono momenti esilaranti, gesti imbarazzanti, decisioni repentine e
avventate, conseguenze imprevedibili. Ce la farà Carlo a trovare il suo primo, vero, amore?
Pur avendo intinto il mio pennello nella mia autobiografia, me ne sono distaccato ironicamente (utilizzando una terza persona che
tuttavia mette sempre e soltanto a fuoco il personaggio di Carlo) e ho provato a dipingere l’affresco
dolceamaro di una generazione che pagava con le lire e non utilizzava ancora le
chat per rimorchiare, una generazione che guardava “Beverly Hills 90210”
soltanto per non pensare alla propria esistenza un po’ grama.
I fantasmi di quegli
adolescenti di fine millennio sono ancora tra noi ed evocarli per interrogarli
significa provare a capire un po’ meglio noi stessi e quello che siamo
diventati.
Nessun commento:
Posta un commento