sabato 16 febbraio 2013

IL ROMANZO IN POCHE PAROLE

Carlo Piras è un ragazzo fortunato: è figlio unico, i suoi genitori sono dei tranquilli impiegati statali e affronta l’Università di Filosofia da matricola fuori sede nel comfort di un piccolo monovani di sua proprietà. Ha anche scritto un libro di cui pare poco gli importi ma che un editore ha intenzione di pubblicare. Vive i suoi diciotto anni nella metà degli anni ’90 e la città in cui ha deciso di studiare, Catania, vive la sua rinascita dopo anni bui. Qui, il provinciale Carlo spera di trovare nuovi amici e magari il primo vero grande amore. I primi giorni catanesi lo lasciano però perplesso, le sue notti infinite sembrano più che altro stordirlo, i baroni accademici non lo vedono di buon occhio (si è diplomato all'Alberghiero!), gli amici sembrano smarriti nelle proprie ossessioni e le ragazze hanno gli occhi perennemente rivolti altrove. 
L’insonnia prende il sopravvento, i tormenti, le angosce, i dubbi si riversano come un ciclone nelle sue giornate. I suoi tentativi di conquistare questa o quella ragazza di cui è di volta in volta innamorato rivelano la sua inettitudine al vivere, la sua irresolutezza, la sua incertezza. Poco a poco Carlo acquisisce la nozione del tempo che passa, si risveglia da un coma profondo in cui sembra essere piombato fin dalla nascita e decide di accelerare gli eventi, portarli a conclusioni certe prima che sia troppo tardi, prima che qualcosa o qualcuno ne inquini gli esiti: ne conseguono momenti esilaranti, gesti imbarazzanti, decisioni repentine e avventate, conseguenze imprevedibili. Ce la farà Carlo a trovare il suo primo, vero, amore?
Pur avendo intinto il mio pennello nella mia autobiografia, me ne sono distaccato ironicamente (utilizzando una terza persona che tuttavia mette sempre e soltanto a fuoco il personaggio di Carlo) e ho provato a dipingere l’affresco dolceamaro di una generazione che pagava con le lire e non utilizzava ancora le chat per rimorchiare, una generazione che guardava “Beverly Hills 90210” soltanto per non pensare alla propria esistenza un po’ grama. 
I fantasmi di quegli adolescenti di fine millennio sono ancora tra noi ed evocarli per interrogarli significa provare a capire un po’ meglio noi stessi e quello che siamo diventati

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